Doveva essere la finale di Guardiola e del City, è stata invece quella di Haavertz, Tuchel e, soprattutto, del Chelsea. Per i blues è il secondo titolo continentale dopo quello del 2012.
Il 29 maggio è la data che nella storia della Coppa dei Campioni è associata alla finale dell’Heysel, stadio dove poche ore prima dell’inizio della sfida tra Liverpool e Juventus persero la vita 39 tifosi. Nel 36mo anniversario di quella tragedia l’Uefa è riuscita a non ricordarla, preferendo introdurre la finale tra City e Chelsea con balli, canti, coriandoli e fuochi d’artificio: imitazione maldestra delle esibizioni di contorno del Superbowl americano. Spettacolo kitsch quanto inutile che diventa offensivo e insopportabile nell’anniversario di quella strage.
Per il terzo anno di fila la sfida per il titolo continentale vede una squadra alla sua prima finale di Champions: dopo Tottenham e Psg tocca al City, che completa il tris di sconfitte delle esordienti.
Il City che ha dominato il campionato inglese e vinto la coppa di Lega sarebbe partito favorito nei confronti di qualunque altra connazionale ad eccezione dei blues, che hanno sconfitto i Citizens nelle ultime due sfide, sia in campionato che in semifinale di Fa Cup. Condizionato dai quei risultati Guardiola prova a mischiare le carte: fuori sia Rodri che Fernandinho, cui viene preferito Gundogan nel ruolo di centrale di centrocampo anziché quello abituale di mezzala destra, dove invece schiera Bernardo Silva, con De Bruyne in posizione di finto centravanti, e Foden nel ruolo di mezzala sinistra. Un’inversione di ruoli che non sposta gli equilibri, tant’è che il tecnico catalano al 25′ riporta Foden e De Bruyne nelle posizioni abituali. Ma è soprattutto l’assenza del filtro davanti alla difesa (rappresentato da Rodri o Fernandinho) che finisce col rivelarsi controproducente per il City. La scelta di un centrocampo d’assalto rivelava il messaggio del tecnico catalano ai suoi: non aspettiamo gli eventi, determiniamoli, andiamo a prenderci la coppa. Se l’obiettivo tattico di una mediana così offensiva era mettere in crisi quella diga umana chiamata N’Golo Kanté, il risultato è stato invece quello di togliere ogni dubbio (sempre che ce ne fossero) su chi sia il miglior “numero quattro” al mondo. Nessuna sorpresa: la prestazione del centrocampista transalpino è in linea con quelle che negli anni passati avevano consentito al Leicester di Ranieri di conquistare la Premier o alla Francia di laurearsi campione del mondo in Russia. Fondamentale quanto invisibile: lo sentono tutti, compagni e avversari, anche se la ribalta viene concessa quasi sempre ad altri.
La finale che avrebbe dovuto essere dominata dalla tattica si rivela aperta spettacolare, con occasioni per entrambe le squadre. Le più clamorose capitano a Timo Werner, che conferma in tre occasioni di non essere esattamente un opportunista. Al 39′ Thiago Silva, leader della difesa di Tuchel, viene sostituito da Christensen per un problema muscolare. Brutto colpo per il Chelsea, che viene presto dimenticato per merito di Mason Mount, che al 42′ s’inventa un bellissimo lancio che taglia la linea altissima della retroguardia del City e apre un’autostrada per Kai Havertz: l’ex mezzala del Bayer Leverkusen, partito a ridosso della linea di metacampo, brucia sullo scatto un lentissimo Zinchenko, dribbla Emerson e mette in rete. Giocata spettacolare dei giocatori di maggior talento a disposizione di Tuchel.
Al 59′ esce in lacrime De Bruyne, dopo un duro scontro con Rudiger. Al posto del capitano Guardiola manda in campo Gabriel Jesus e al 64′ Fernandinho per Bernardo Silva, ridisegnando nuovamente il City, che ora prende il controllo della gara. Ma rischia tanto. E al 72′ il Chelsea replica il contropiede che aveva regalato l’1-0 di Havertz, col tedesco stavolta nei panni dell’uomo assist, ma Pulisic mette fuori di poco a porta vuota.
Al 77′ tocca ad Kun Aguero, che rimpiazza un evanescente Sterling. Per il 32enne attaccante argentino, all’ultima partita con la maglia del City prima del trasferimento al Barcellona, è l’occasione di firmare l’ultima impresa di un decennio eccezionale con la maglia del City. Ma questa è la serata del Chelsea, che al 96′ vedono il tiro di Mahrez sfiorare l’incrocio. Niente da fare. La Champions continua a sfuggire a Guardiola e al suo City, mai così vicini mai così lontani.
Per il Chelsea è la seconda Champions. Anche questa vinta con la stessa formula di nove anni fa. Allora era stato Roberto Di Matteo a subentrare a Villas Boas, quest’anno la svolta è arrivata col cambio in panchina tra Lampard e Tuchel. Il tedesco, fresco di esonero dal Psg, non solo ha cambiato la stagione dei blues, ha inflitto la terza sconfitta su tre a Guardiola negli ultimi due mesi e ha saputo vendicare la delusione della sconfitta patita nella finale dello scorso anno contro il Bayern. Il trionfo di Tuchel segue quelli di Flick e Klopp: per il terzo anno di fila la Champions va a una squadra allenata da tecnici tedeschi. Non è un caso che la firma sul successo sia stata quella di Kai Havertz: incompreso e timido con Lampard, rilanciato e decisivo sotto la guida del connazionale. Questa è la Champions di Thomas Tuchel. LECHAMPIONS EUROPA
UEFA Champions League 2020-21 / Finale – Porto, stadio Dragao
MANCHESTER CITY-CHELSEA 0-1 (0-1)
Manchester City: Emerson, Walker, Stones, Dias, Zinchenko; Bernardo Silva (64′ Fernandinho), Gundogan, Foden; Mahrez, De Bruyne (60′ Gabriel Jesus), Sterling (Aguero 77′). Allenatore: Guardiola
Chelsea: Mendy, James, Azpilicueta, Thiago Silva (Christensen 39′), Rudiger, Chilwell; Kanté, Jorginho; Havertz, Werner (66′ Pulisic), Mount (80′ Kovacic). Allenatore: Tuchel
Arbitro: Mateu Lahoz (Spagna)
Reti: Havertz 42′
Ammoniti: Gabriel Jesus
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