Andrej Arshavin e Theo Walcott
Lee Dixon, Steve Bould, Nigel Winterburn, David Seaman, Martin Keown e Tony Adams
Difesa leggendaria: Dixon, Bould, Winterburn, Seaman, Keown e Adams

Siamo solo a inizio stagione ma per l’Arsenal è già tempo di sentenze. I gunners hanno evitato l’eliminazione nei playoffs di Champions League contro l’Udinese, ma in campionato hanno raccolto appena un punto nelle prime tre giornate: 0-0 a Newcastle, 0-2 in casa col Liverpool e 8-2 all’Old Trafford contro il Manchester United. Ecco, quando una squadra come l’Arsenal rimedia sei gol di scarto in quella che, sino a pochi mesi prima, era una sfida-campionato è chiaro che c’è un problema e pure grave. Nella passata stagione l’Arsenal era l’unica squadra inglese ancora in corsa a fine febbraio per quattro obiettivi: sfumati tutti nel giro di un paio di settimane. Epilogo deludente che evidenziava pregi e difetti: la competitività della squadra e la mancanza di leader capaci di vincere le partite più importanti e delicate. Un portiere, un difensore centrale, un regista e un centravanti. La spina dorsale dell’Arsenal è andata sgretolandosi negli anni. La successione nei ruoli chiave della squadra sono stati gestiti con un’improvvisazione e una superficialità sorprendenti.

PORTIERE. Tra i pali l’eredità di David Seaman non è mai stata raccolta con continuità: Lehmann e Almunia si sono alternati, tra cadute rovinose e sorprendenti resurrezioni, per poi farsi da parte e riapparire tra un Fabianski e un Mannone. Ora è la volta di Wojciech Szczesny: in prospettiva il migliore di tutti ma ancora lontano dall’essere una certezza: bello stile e interventi miracolosi troppo spesso oscurati da errori di piazzamento grossolani.

DIFESA. Appena diversa la gestione del cuore della difesa. Con il ritiro pressoché contemporaneo di Tony Adams, Steve Bould e Martin Keown, l’Arsenal aveva impiegato parecchie stagioni e bruciato diversi giocatori (da Phillippe Senderos a Pascal Cygan sino al ritorno di Sol Campbell) prima di trovare centrali difensivi all’altezza in Kolo Toure, William Gallas e Thomas Vermaelen. Lasciato partire il primo nell’estate 2009 verso il Manchester City (aprendo una via che sarebbe stata poi seguita nell’ultimo mercato da Gael Clichy e Sami Nasri), Wenger ha trovato in Gallas-Vermaelen una coppia in grado di rivaleggiare con quella formata da Vidic e Ferdinand, considerata il top della Premier League. Una combinazione troppo bella per durare: dopo una stagione si è fatto scappare Gallas (al Tottenham) e ad affossare Vermaelen ci stanno pensando gli infortuni e i limiti dei partner Koscielny, Djourou, Squillaci. L’acquisto del 27enne nazionale tedesco Per Mertesacker dal Werder Brema (non proprio la difesa più blindata della Bundesliga) sa tanto di rattoppo dell’ultima ora. Appena più convincente l’arrivo del terzino sinistro della nazionale brasiliana Andre Santos, prelevato dal Fenerbahce: assicura grande spinta in avanti e qualche amnesia dietro.

CENTROCAMPO. A metà campo Fabregas era stato presentato come il nuovo Vieira, dopo un breve apprendistato al fianco del francese. Ma è parso subito evidente che, nonostante l’impegno, Cesc dava il meglio in avanti anziché in copertura. E per questo Wenger gli aveva affidato il ruolo alle spalle delle punte che gli garantiva maggiore libertà d’inserimento: spostamento di cui ha beneficiato personalmente ma che ha creato parecchie difficoltà alla squadra, obbligata ad alternare in mediana  Song, Diaby e Denilson. Tre mediocrità per due posizioni: chi più chi meno portati a far filtro, tutti indistintamente incapaci di impostare il gioco. Con la cessione di Fabregas al Barcellona il problema – in apparenza – è diventato trovare l’erede di Cesc. In realtà in rosa ce ne sono già almeno due: Jack Wilshere (il migliore) e Aaron Ramsey (comunque promettente). Resta invece il buco-Vieira: davanti alla difesa manca sempre un giocatore esperto, capace di far legna e dettare i tempi della manovra, decidendo quando allargare e quando andare in verticale. Un giocatore alla Marcos Senna più che alla Wilshere: ma anziché offrire un anno o due di contratto a un 35enne si è preferito puntare immediatamente sul 20enne Francis Coquelin e sul 19enne Emmanuel Frimpong. Belle speranze da bruciare al volo.

Andrej Arshavin e Theo Walcott
Arshavin: il più penalizzato dalle scelte di Wenger

ATTACCO. La passione di Wenger per le mezzepunte è nota, così come l’abitudine a schierarle in ruoli diversi. Scelta che ha pagato nel caso di Thierry Henry ma che non ha dato gli stessi risultati con i “numeri dieci” attualmente in squadra. Rosicky è stato riciclato come interno di centrocampo; Van Persie come punta centrale e Arshavin come esterno sinistro. Proprio il fantasista russo è la vittima principale di questo sistema. Nessun altro giocatore sotto la guida di Wenger ha subito l’involuzione tecnico tattica patita dall’ex asso dello Zenit. Il 21 febbraio 2009 l’esordio con la maglia dei gunners; appena due mesi dopo arriva la consacrazione con quattro gol ad Anfield nel 4-4 contro il Liverpool (“Può giocare ovunque, come tutti i grandi giocatori: è stato capace di un exploit che non avevo mai visto prima” è il commento post-gara di Wenger); ma anziché decollare Arshavin si inabissa, inghiottito dalla ricerca di equilibrio in attacco. Pur di accomodare Van Persie nella posizione di centravanti Wenger non esita a confinare sulle fasce Arshavin (a sinistra) e Walcott (a destra). Grave errore: entrambi hanno maggior fiuto per il gol e per l’assist dell’olandese.  Sia Walcott che Arshavin andrebbero a nozze in un 4-4-1-1 o in un 4-3-2-1 nei ruoli di rifinitore o di seconda punta (ideale anche per Van Persie). E invece i due, nell’ormai abituale 4-3-3, si ritrovano schierati sulle fasce dove perdono molto (in particolare il russo che non ha la velocità dell’inglese), senza che Van Persie compensi con gol e leadership il sacrificio dei due compagni. Anche qui, come nel caso Vieira-Fabregas, c’è un equivoco: Van Persie, neo capitano dei gunners, indossa il numero 10 che fu di Dennis Bergkamp ma non ne riveste il ruolo né ne possiede visione e movimenti (può però vantare un tiro più potente). Il nuovo capitano di Wenger ha preso invece posto e posizione di Thierry Henry ma con risultati finora molto, molto più modesti: segna meno e mai nelle occasioni che contano. Ai gunners manca un centravanti che faccia il centravanti, finalizzi il gioco, la butti dentro. Solo Chamakh e Bendtner hanno queste caratteristiche ma entrambi non possiedono qualità sufficiente per aspirare a un posto da titolare: basta paragonarli a Ian Wright o Nicolas Anelka per cogliere il gap di valore tra l’attacco a disposizione di Wenger nel passato e quello attuale. Eppure anziché concentrare sforzi e denari per prendere una punta centrale come Benzema si è puntato su due esterni: il 18enne Alex Oxlade-Chamberlain (dal Southampton per 18 milioni di euro) e il 24enne Gervinho (dal Lille per 13 milioni). Incomprensibile.

La peggior sconfitta della storia dell'Arsenal contro il Manchester United
28 agosto 2011: Man Utd-Arsenal 8-2

Nonostante risultati deludenti e scelte bizzarre o comunque controverse, Alex Ferguson e Pep Guardiola sono i più convinti difensori di Arsene Wenger. Netto lo scozzese: “E’ fuori dal mondo criticarlo dopo tutto quel che ha fatto per l’Arsenal, li ha portati a competere per traguardi che prima si sognavano. Nel calcio non c’è memoria”. Sulla stessa lunghezza d’onda il tecnico del Barcellona: “Wenger ha creato un modello di gioco. Grazie a lui l’Arsenal nell’ultima decade è diventata sinonimo di bel gioco. Perdere 8-2 come è capitato all’Old Trafford è pesante ma oltre alle partenze di Fabregas e Nasri c’è stato pure l’infortunio a Wilshere. Difficile giocare in quelle condizioni”. Anche Sami Nasri, subito in campo per il Manchester City, difende il suo ormai ex tecnico: “L’Arsenal non è competitivo né lo sarà più. La colpa non è di Wenger ma della politica del club, che dopo la costruzione dell’Emirates stadium ha ridimensionato il budget per gli ingaggi e a certe cifre i top-players vanno altrove. Comprare i giovani è una scelta obbligata, perché ti puoi permettere solo quelli ma così non si vince. Per questo me ne sono andato”. Poco elegante e ancor meno diplomatico ma parole e percorso di Nasri, che ha scelto di andare a giocare in una squadra araba in terra d’Inghilterra (questo è il City-compra-tutti), hanno il merito di spiegare in modo chiaro perché la politica dei gunners è arrivata al capolinea. Scovare talenti, svezzarli, per poi vederseli portare via una volta maturi, è una semina che regala il raccolto agli altri. L’Arsenal è diventata la cantera delle rivali: qui si insegna calcio, lì si vince. ECL EUROPA

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