La storia del calcio è piena di promesse non mantenute. Giocatori che all’improvviso, per merito o per fortuna, si ritrovano proiettati su ribalte importanti. Brillano, sino ad abbagliare, per poi spegnersi con la stessa rapidità. Il più delle volte falliscono il grande salto, quello che separa la cronaca dalla storia, le meteore dai campioni. Declini immediati. Che ricordano quant’è breve lo spazio che separa la ribalta dall’oblio. E’ toccato a tanti.
L’esempio più evidente è il rendimento di Totò Schillaci dopo Italia 90: i sei gol al Mondiale, accompagnati da uno sguardo a metà tra allucinazione e estasi, ne avevano fatto una star a livello internazionale. Da quel momento la punta siciliana non solo non riesce più a confermare gli standard della Coppa del Mondo ma nemmeno quelli precedenti: alla Juve il calo di rendimento è netto, all’Inter anche di più e a 30 anni lascia il campionato italiano per il Giappone. Ma nemmeno Totò-san può vantare una carriera al massimo livello così effimera e fulminea come quella di Adriano Gabiru. Dopo aver bruciato gli anni migliori nell’Atletico Paranaense, che credeva in lui così tanto da girarlo in prestito prima al Marsiglia e poi al Cruzeiro, alla soglia dei 30 anni Adriano approda all’Internacional di Porto Alegre. La squadra vola, ma i tifosi contestano l’utilizzo della mezzapunta di Maceiò, arrivando a chiedere al tecnico Abel Braga che lo mettesse fuori rosa. Il minutaggio viene ridotto, l’impiego pure, ma Adriano resta coi compagni.
Grazie a Rafael Sobis, Fernandão e Tinga l’Internacional supera il San Paolo e vince la Libertadores 2006, qualificandosi così al Mondiale per club. A Tokyo mentre il Barcellona di Deco, Ronaldinho e Iniesta liquida in semifinale 4-0 i campioni Concacaf dell’America, i brasiliani superano i campioni d’Asia dell’Al Ahly 2-1 con le reti del futuro milanista Alexandre Pato e dell’attuale punta dello Shakhtar Luiz Adriano (c’è anche l’altro Adriano, Gabiru, che resta inchiodato al suo posto in panchina per tutta la gara). Per il Barcellona di Frank Rijkaard la finale non sarà una formalità ma l’esito è scontato: nessuno mette in dubbio la vittoria blaugrana, soprattutto dopo aver visto le difficoltà con cui l’Internacional ha superato l’Al Ahly. La finale conferma la superiorità dei campioni d’Europa, che possono vantare quasi il 60% del possesso palla, undici calci d’angolo a due, sei tiri nello specchio della porta contro due dell’Internacional. Centrare la porta appena due volte in novanta minuti basta ai brasiliani per sorprendere i campioni catalani, perché a otto minuti dalla fine uno di quei due tiri finisce beffardamente in rete. A segnarlo non è Pato e nemmeno Fernandão: al 76′ il capitano viene sostituito a sorpresa con Adriano Gabiru, mandato in campo nell’incredulità dei tifosi biancorossi. E all’82’, dopo sei minuti spesi a mulinare a vuoto dietro i campioni d’Europa, Iarley vince un rimpallo a metà campo su Puyol: nessun compagno davanti, mentre alle spalle, parte come un razzo Adriano Gabiru, il più fresco, il più motivato, l’unico a credere che da quella palla possa nascere qualcosa. Il nuovo entrato s’invola verso la porta del Barcellona e Iarley è bravo a servirlo al limite dell’area al momento giusto: doppio esterno destro per controllare e poi battere Victor Valdes sul palo più lontano. Il portiere catalano tocca ma non trattiene: 1-0 Internacional. Mancano ancora otto minuti ma il Barcellona è al tappeto, quel gol chiude la partita: tutta la gara all’attacco e ritrovarsi in svantaggio nel rettilineo finale è una mazzata definitiva. L’Internacional e Adriano Gabiru sono campioni del mondo. Il riscatto del centrocampista agli occhi dei tifosi dura lo spazio di poche settimane. Tanto basta agli ultrà per tornare alla carica, chiederne, e stavolta ottenere, la cessione. Nello spazio di poche settimane si ritrova a giocare nei campionati regionali. Cinque anni dopo è ancora lì. ECL AMERICA
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